La pubblicità "buona" | libertà [li-ber-tà] | Cile, 1988
Cile, 11 settembre 1973: un colpo di stato militare depone e uccide il presidente Salvador Allende, dando inizio alla violentissima dittatura del generale Pinochet. Il bilancio: 38.000 arrestati e torturati, 200.000 esiliati, più di 2.000 morti, 1.200 desaparecidos. Un'ecatombe, insomma.
Eppure il finale, di questa storia, merita di essere raccontato.
Nel 1988 forti pressioni internazionali costringono Pinochet a indire un referendum (i desaparacidos cominciano a pesare sulle coscienze del mondo) che lui stesso aveva promesso 8 anni prima: i cileni voteranno SI per tenersi il dittatore, NO per deporlo. Il regime controlla tutti i mezzi di comunicazione e ha la certezza della vittoria.
Alla campagna televisiva del fronte del NO viene concessa una manciata di minuti in seconda serata.
Che fare? Come tentare l'impossibile? All'inizio ci si prova così:
Vado di analisi spiccia:
immagini di repertorio che mostrano gli orrori del regime;
elenco di dati sulle barbarie perpetrate;
colonna sonora con musica inquietante oppure cantautorale.
Risultato: la campagna, invece di infondere coraggio, alimenta le paure di un popolo umiliato.
I giovani del fronte del NO tentano una strada mai percorsa prima: chiedono l'intervento di pubblicitari di professione.
All'appello (non ci sono soldi, si cercano volontari sufficientemente pazzi da accettare) rispondono Eugenio Gàrcia e José Manuel Salcedo, cresciuti all'estero a colpi di Pepsi e Micheal Jackson.
I due fanno quello che sono abituati a fare: la pubblicità.
Inventano un tema, un logo, uno slogan, una colonna sonora. E confezionano uno spot in perfetto stille anni '80, ciuffi improponibili compresi. Mettono insieme una troupe improvvisata fatta di volontari coraggiosi che girano i ciak di nascosto dai militari e fanno i conti ogni giorno con il terrore di essere arrestati.
Però ce la fanno.
E, alla fine, mandano in onda questo:
Anche qui un'analisi veloce:
l'allegria diventa il tema centrale;
la colonna sonora è una canzoncina tutta ottimismo e sorrisi con un ritornello subito canticchiabile da tutti ("Chile, la alegrìa ya viene!");
il logo è un arcobaleno che abbraccia un NO tipografico.
Tutto trasuda modernità, aria fresca, libertà.
Nessun riferimento alla morte, al terrore, alla violenza, alla crudeltà dell'uomo contro cui ci si batte.
Solo spensieratezza e scaldamuscoli.
Altri temerari si uniscono al coro delle opposizioni: i video si moltiplicano, il coraggio aumenta.
C'è una clip, di questa splendida e sofferta campagna del fronte del NO, che non smetterei mai di guardare: Isabel Parra e le sue amiche (la Tita, la Ceci, la Tati, la Rosa e la Milly) canticchiano col sorriso una canzoncina ballabile e leggera.
Bisogna ascoltarla bene, quella canzoncina.
Perché le sei donne cantano a Pinochet che proprio non lo vogliono, né come uomo né come capo. Gli ricordano che non sopportano "la sua minicultura", che non lo ritengono "né indispensabile, né eterno", che è noioso e deprimente.
Eccole, bellissime e guerriere:
Dovremmo ricordare, ogni tanto, che contro un potere ignorante e ottuso servono verità e ironia.
Queste donne minute dicono a uno dei più feroci dittatori del Sudamerica che è un buffone.
E lo fanno ridendo.
La lezione l'hanno imparata non dalla pubblicità, ma da Boccaccio e dalla satira medievale, che non si è mai inchinata davanti al potere ma lo ha sfidato col sorriso.
Come va a finire? Il mattino del 6 ottobre 1988 il Cile si sveglia democratico.
Schiacciato, distrutto, turbato.
Ma libero.
La pubblicità ha fatto il lavoro sporco: ha persuaso, ha convinto, ha dissimulato.
E i buoni, stavolta, proprio grazie alla pubblicità, hanno vinto.
Alla prossima...
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